lunedì 30 luglio 2018

Se si vuol davvero capire in che parte del mondo si è arrivati, conviene dirigersi agli Stockyards, il quartiere western di Fort Worth.
Qui si respira davvero un'aria da Magnifici Sette, tra gli edifici in legno, i tori meccanici e i cowboy che ogni tanto si palesano.

I country bar con le sedie a forma di sella di cavallo e gli empori di cianfrusaglie Far West ci ricordano poi che ci troviamo in una zona destinata anche a gente molto curiosa, ed è principalmente questo che ho apprezzato degli Stockyards: ti propongono alcuni elementi da selvaggio West cinematografico e allo stesso tempo ti sbattono in faccia che insomma, qualche isolato del quartiere era davvero di proprietà di Buffalo Bill. Che al Billy Bob's Texas, il più grande honky tonk al mondo, si è esibito davvero Merle Haggard. Che nella stanza dello Stockyards Hotel, un albergo dedicato al mito dei cowboy, ha alloggiato davvero Clyde di Bonnie & Clyde. Realtà e finzione che convivono, non si sa dove finisca una e inizi l'altra, ed è perfetto così.

L'edificio in foto è il Cowtown Coliseum, uno dei più vistosi degli Stockyards. Si tratta di un'arena dove hanno luogo veri e propri rodeo (solo il venerdì e il sabato, organizzatevi). Solamente partecipandovi si può realizzare quanto questo cowboy show sia un momento di aggregazione e spettacolarizzazione, come del resto tutti gli sport negli USA.
Uscendo dal rodeo si possono ammirare i cavalli nel maneggio retrostante, e poi girare i saloon nelle vicinanze, sentendosi come Lucky Luke per qualche ora.

Poteva mancare la colonna sonora?
"Ida Red" degli Asleep At The Wheel, e qui siamo già sul country stereotipato con l'uomo che fa "yeee ha!" col lazo. Ma si tratta di un problema relativo, da ste parti poi. 


sabato 28 luglio 2018

Potrebbe essere colpa della meticolosa suddivisione in quartieri a destinazione specifica (uffici in downtown, residenze in periferia, eccetera eccetera) se in alcune città americane ci ritroviamo dei veri e propri distretti museali, come il Cultural District di Fort Worth. 
Mi si risponderà che anche in Europa ci sono realtà come l'Isola dei Musei di Berlino. Vero, ma stupisce comunque l'overdose di cultura che ti puoi fare in poche decine di metri in un rione non proprio centrale. 

Qui il fiore all'occhiello architettonico è senza dubbio la nuova ala del Kimbell Art Museum progettata da Renzo Piano. Luminosa e spaziosa, è costituita in modo che si acceda alle esposizioni da un atrio, pensato probabilmente per essere colmo di luce quanto il giardino esterno. Su quest'ultimo si affacciano alcune sculture e l'altro edificio del museo, il più vecchio.

È stato il primo luogo che ho visitato a Fort Worth, per due ragioni. Ritengo infatti che iniziando il tour dalle periferie si possa cogliere subito la vera essenza urbana di un posto, con tanto di adrenalina e stupore che crescono man mano che ci si avvicina al centro. E poi qua vicino c'è una tavernetta che fa degli ottimi hamburger, frequentata dalla gente del posto. Mica cotiche (hamburger, appunto). 

Curiosità: uno dei musei del Cultural District è dedicato interamente alle cowgirl, e dev'essere molto interessante. Ma ho un solo giorno per girare a Fort Worth ed è decisamente meglio toccarla con mano la cultura Western, che qui si può. 


mercoledì 25 luglio 2018

Prossima fermata Texas, finalmente.
E più precisamente Fort Worth, dove trascorrerò la mia prima notte nello stato della stella solitaria.

La città è diversissima da Dallas, pur essendo situata a poche decine di chilometri da questa. Qui infatti ci si può calare totalmente nell'atmosfera western a cui Fort Worth è assai attaccata (la chiamano "Cowtown"), e chi lavora nel turismo da queste parti non si è certo fatto sfuggire tal ghiotta occasione.
Chi non possiede un mezzo proprio e non potrà, quindi, addentrarsi nella provincia texana coi suoi ranch e i suoi grill troverà qui ciò che cerca. Un po' più turisticizzato, hai visto mai, ma ci sta benissimo.

Un po' stanco lo sono. Qualcosa di energico, dal titolo spero non profetico: "Nowhere Road" di Steve Earle, e camminare.

Sundance Square la possiamo considerare il vero centro di Fort Worth, ornata di palazzi caratteristici e fontane in ogni dove. Menzione particolare per una di esse: la Wave Wall Fountain, che simula ogni minuto una vera onda che si infrange sul bagnasciuga.
Ma il nome della piazza è profetico davvero: danza del sole. Il sole spacca me, altro che le pietre.

Mentre cammino per le immediate vicinanze della piazza, dove abbondano ristoranti, musei e locali per la musica dal vivo, scopro questo simpatico angolino all'ombra: Sundance Court, buono per ricaricarsi e ripartire.
Per certi versi ricorda molte città europee, dove appena dietro i luoghi turistici principali ti imbatti in questo o quell'anfratto che non aspettavi. 







Sopra le colline di Hot Springs hanno avuto la bella idea (e non è un modo di dire, è proprio una bella idea) di costruire una torre panoramica che permetta di ammirare i capolavori naturali dell'Arkansas. Ti senti davvero piccolo davanti a queste cose.
Ci si arriva dopo diversi percorsi con tornanti sovrastati da rigoglioso verde.

La torre architettonicamente non è nulla di che, ma prima di gridare all'ecomostro pensateci bene: la sua costruzione ha comportato un disboscamento sicuramente minore (la collina è ricoperta di alberi) di quello che si sarebbe avuto creando uno spiazzo a mò di belvedere sviluppato in larghezza.
E la vista è decisamente migliore così. 


martedì 24 luglio 2018


Jerry Reed mamma mia, come diavolo ha fatto a non sbagliare mai una canzone? Forse se conoscessimo di più i suoi pezzi la nostra reputazione per la country migliorerebbe un po'.
Comunque mi fa compagnia "She Got The Goldmine, I Got The Shaft" mentre ritorno in bus a Little Rock da Branson. Un viaggio nella provincia più provincia d'America, tra ranch, stazioni di servizio, maneggi e foreste sterminate.

Da Little Rock giungerò poi con un lungo (ma non costoso) viaggio in Uber nella cittadina di Hot Springs, importante centro termale del sud sin da quando negli anni '30 era un nugolo di gangster, giocatori d'azzardo e contrabbandieri di alcolici. No, in realtà era semplicemente una località di modissima e quindi c'erano tutti, anche loro.

Lungo la via principale ci sono i vari edifici monumentali che ospitano gli stabilimenti termali, oltre ad alcune vasche, fontane e diversi rubinetti che erogano acqua bollente.
E qui mi vien da ridere: avete presente i videogiochi anni 90 tipo Spyro The Dragon, in cui i livelli hanno il nome della loro caratteristica principale (esempio: Vulcano Roccioso, Fossa dei Coccodrilli ecc.)? Qui, in una cittadina chiamata Sorgenti Calde, effettivamente...

Il centro si visita tutto in due orette, trattamento termale compreso. Perciò in un batter d'occhio mi dirigo verso questa gigantesca passeggiata pedonale immersa nel verde: la Hot Springs Creek Greenway Trail, che parte appena dietro la via principale e finisce miglia dopo, in riva ad un immenso lago fuori città.
Si tratta di un ex ferrovia che corre(va) parallela ad un torrente, ora trasformata in una camminata. È suddivisa in varie parti, ciascuna con un nome diverso e di differente lunghezza. Percorrendola si vedono continuamente rimesse ferroviarie e binari in disuso, un mercato agricolo, capolavori naturali come quello in foto ma soprattutto si passa vicino a luoghi di vita quotidiana come un autorimessa di camion o un parcheggio. Perché siamo di fronte ad un'opera che si integra in un contesto urbano, non lo domina. E se contiamo che praticamente ogni decina di metri ci si può fermare e sciallarsi in riva al fiume, beh.
PS:, Non l'ho percorsa tutta, direi nemmeno metà. È lunga. Se uscendo da Hot Springs si vede solo più natura e non edifici può solo che migliorare. 


lunedì 23 luglio 2018

E sì che il centro storico di Branson è bellissimo. Una via pedonale con negozi, caffè e steakhouse. Fontane con giochi d'acqua in prossimità del fiume, un parco di modeste dimensioni e un lungofiume piuttosto stretto con alcuni moli in legno protesi sull'acqua per ammirare meglio le foreste sull'altra riva. È presente un leggero retrogusto Western, sicuramente conciato a modo per i turisti ma comunque gradevole.
Mi faccio un giro sulle note di "Kyrie" dei Mr. Mister.

Ma allora perché la via dei teatri, di cui ho parlato nella foto precedente, che inizia nel centro e finisce in campagna ed è lunga chilometri, è di nuovo completamente pensata solo per le macchine?
I pedoni qua sono inesistenti e i pochi che si avventurano si sentono davvero tagliati fuori. I marciapiedi a volte nemmeno esistono, costringendoti a camminare nei parcheggi o nei vialetti dei drive dei fast food. E vi giuro che l'ultima parte del quartiere, la più lontana dal centro, non sono riuscito proprio a vederla: bisognava attraversare una strada ad alta percorrenza. I semafori sono un lontano ricordo e non esiste istante senza che passi un'auto (una tassista mi ha detto che d'estate Branson ha più turisti di tutto l'Egitto).

Sono perfettamente consapevole del fatto che in una cittadina del Missouri frequentata da famiglie americane quello fuori posto sono io. Però è un peccato perché sono riusciti a creare una Downtown davvero a misura d'uomo e con sforzi probabilmente minori verrebbe fuori una promenade gigantesca che permette di passare in pochi metri dal fiume selvaggio con le fontane alle strade pedonali modello europeo fino ai teatri con le insegne gigantesche al neon che colpiscono la vista. Non so quante città al mondo, non solo in America, potrebbero vantarla.






sabato 21 luglio 2018


Aspetti di andarci da una vita ed eccola qui. Tutti la conoscono e la sognano. Insegne sfavillanti e divertimento nel mezzo del nulla. Mega strutture finte costruite per colpire l'immaginazione. Un mito immortalato in decine di film e pubblicità.
La si può amare od odiare, ma non lascia certo indifferenti, col suo eccessivo essere, ehm,  "americana".

Perciò cantiamo tutti in coro VIVAAAAA Branson, nel Missouri.
(Se avete davvero creduto che parlassi di Las Vegas vi consiglio di rivedere le mete per un'eventuale vacanza negli USA, e di non farvi influenzare dai film).

A mia memoria, e la mia cultura cinematografica è piuttosto scarsa, Branson è citata solo nei Simpson, dove Homer la definisce "come una Las Vegas costruita da Ned Flanders".
Ancora oggi non capisco se il buon Homer Simpson si riferisse alla sua tranquillità o al suo essere in generale un posto molto devoto. Ma andiamo per ordine.

Le grandi insegne che costeggiano il 76 Country Boulevard non sono casinò ma teatri. I primi spettacoli da queste parti arrivarono intorno alla metà del '900 ed erano principalmente incentrati sulla musica country. Ora trattano un po' di tutto, e si può incappare in attori famosi, in declino o emergenti.
Nei decenni però, Branson è diventata una meta di divertimenti per famiglie tout court: vi si può trovare qualsiasi attività all'aperto vi possa venire in mente.
Ohi, siamo in America. Quando dico qualsiasi intendo qualsiasi: minigolf, parchi divertimento, parchi tematici, piscine, flying experience. Quello che ho fotografato è un museo.

Meta per famiglie vuol dire anche ristoranti chiusi alle 21 e teatri alle 22. Qualche pub particolarmente mattiniero tira avanti fino a mezzanotte. Pazzi scatenati.
Cosa diavolo ci fa qui uno come me?
Un po' di vero e autentico folklore, semplicemente. Provincia americana sterminata, al limite dell'impressionante dopo essere stato a Chicago appena una settimana prima. Gli spettacoli sono molto belli e coinvolgenti, con i temi Dio - patria - famiglia talmente radicati che quando esci dal teatro ti senti in colpa per non esserci abbastanza attaccato.

E ancora una volta balza agli occhi l'immensa capacità di marketing statunitense: Branson è nel mezzo del nulla, sulle montagne del Missouri, raggiungibile con strade tutt'altro che importanti.
Ve la immaginereste una cittadina sulle alture dell'Umbria o dell'Abruzzo con gli stessi potenziali di Riccione? 


venerdì 20 luglio 2018


Le nuvole là dietro non vi traggano in inganno, si soffoca dal caldo come al solito.
La principale attrazione di Little Rock è il River Market: un mercato vicino al fiume (non ve l'aspettavate questa) che sfortunatamente c'è tutti i giorni tranne oggi che è domenica.

Il lungofiume però si fa ugualmente apprezzare da entrambe le sponde. Di là, nella parte nord opposta al centro, chilometri e chilometri di verde e sentieri percorribili in bici e a piedi, che culminano in un gigantesco parco fluviale fuori città (Burns Park).
La parte di qua, in centro, è quella che voglio approfondire, perché ha del genio.
Hanno pensato infatti di ubicare, nel tratto tra i due ponti centrali della città, una quantità impressionante di sculture d'arte moderna, un po' donate da privati, un po' da artisti del circondario. Ce n'è una ogni metro, assieme a giochi d'acqua e di vapore.

Ancora una volta, democrazia. Non voglio mostrarvene una e lasciare fuori le altre perché me ne sono piaciute parecchie. Beccatevi questo passaggio coperto da piante rampicanti. Ha pure un nome che non ricordo, tipo tunnel della felicità, ma è comunque facilissimo da trovare essendo situato di fianco al River Market e al Junction Bridge, il ponte sul fiume Arkansas che è stato ad uso ferroviario, della Union Pacific, per quasi 100 anni prima di diventare una passerella pedonale negli anni 80. Probabilmente è cambiato poco da allora. 


giovedì 19 luglio 2018


Il prossimo stato non ha la fortuna di avere un nome arcinoto, e nemmeno città.
Tanto di guadagnato sinceramente. Rischio di non incontrare altri turisti per tutto il soggiorno.

Mi appropinquo verso l'Arkansas (o come lo pronunciano qui "Ergansò"), naturale luogo di passaggio tra gli stati musicali Mississippiani ed il Texas. Anzi, naturale e basta, dal momento che le sue principali attrazioni sono tutte meraviglie in cui non c'entra l'uomo, come i parchi nazionali.
Arrivo a Little Rock (o "Lu Ro" come si pronuncia qui), che è pure la città più grande dello stato. Anzi direi l'UNICA grande, dello stato. Se non sbaglio la seconda città dell'Arkansas ha gli abitanti di Caltanissetta. 
Ho intenzione di usare Piccola Roccia come base per visitare un paio di località un po' più imboscate, ma anche la città stessa pare non sia affatto male.

E infatti la prima cosa che vedo mi incuriosisce: in mezzo alla città completamente deserta (è l'ora di pranzo di domenica) vedo un gigantesco murales assai variopinto e che colpisce l'immaginazione.
Scoprirò poi con una piccola ricerca che in città ce ne sono altri 6 o 7, che questo si chiama South Main Mural ed è relativamente recente. Un ottimo modo di reinventare muri cittadini anonimi.

Prendere in foto tutto il murales e senza ostacoli di mezzo non è facile, ma comunque faccio mea culpa per non essermici messo d'impegno. Avevo fame e caldo.
Se conoscete qualcuno che fotografa i murales di Little Rock meglio di me ovviamente io mi arrenderò davanti all'evidenza.



E perciò, Memphis nasconde anche un altro lato: il fatto di avere indici di povertà piuttosto preoccupanti.
Anzi non lo nasconde per niente. Nella stessa Downtown campeggiano le insegne consumate di negozi chiusi chissà da quanto, e molta gente si rinchiude appena possibile nei centri commerciali, lasciando le vie principali un po' desolate.
Potrei azzardare con franchezza che contesti urbani così dissimili dall'Europa, in Occidente è difficile trovarne.

Me ne accorgo anche mentre mi sto recando in taxi a visitare lo Slave Haven Underground Railroad Museum (raccomando a tutti questo sistema, sia perché potrebbe essere difficile da trovare essendo ospitato in una normale casa, sia perché perdereste tempo a camminare per quartieri assolutamente anonimi in una città a cui probabilmente dedicherete pochi giorni).
All'interno è vietato fotografare. Tra i punti forti della collezione spiccano i cimeli provenienti dall'Africa come le maschere delle varie tribù, ed alcuni simboli dell'epoca della segregazione razziale fra cui i cartelli che vietano l'ingresso alle persone di colore e quelli che raccomandano loro di usare un altro autobus.
La più grande attrazione è però la casa stessa, che pare fosse parte della cosiddetta Underground Railroad, la rete segreta utilizzata dagli schiavi dell'800 per fuggire in luoghi sicuri.
Si può ancora scendere a vedere le botole sotterranee, come esperienza sicuramente singolare ed educativa in una città in cui la distinzione tra razze a volte pare tutt'altro che estinta. 


mercoledì 18 luglio 2018

WC Handy l'ha iniziato, Muddy Waters l'ha divulgato, i Blues Brothers l'hanno immortalato, Zucchero l'ha banalizzato.
Il blues è come una deliziosa e gigantesca torta alla panna da cui ognuno prende una fetta. Resta un genere che al solo nominarlo evoca creatività e stile. Un critico musicale può definire una canzone "blueseggiante" se vuole suscitare curiosità nel lettore.
Anche quest'articolo è molto blueseggiante, non trovate?

Tutto è cominciato qui, sulle rive di un fiume così grande che nemmeno sono riuscito ad inquadrare tutto. La stessa Memphis prende il nome da Menfi in Egitto, anch'essa fondata su un grande fiume (c'è perfino una gigantesca piramide in vetro in riva al Mississippi in onore di ciò. Un'americanata unica).
Anche se Chicago è stata fondamentale per il rimbalzo che ha consacrato il genere, in questa parte di entroterra americano è nato l'originale, il Delta blues, e indovinate di che fiume è il delta.
E questa è la punta del diamante. In realtà da Memphis sono passati tutti: Jerry Lee Lewis, Bob Dylan, Johnny Cash, BB King, Ray Charles e Otis Redding. Aretha Franklin e Booker T. Jones ci sono proprio nati. Al Green tiene qui una messa gospel irresistibile. 
E il numero spropositato di canzoni in cui è citata la città, vogliam parlarne?

Tuttavia, pur con tutti i problemi urbani (lo vedremo dopo, ve l'ho già detto) a Memphis hanno fatto sì che il Mississippi non si limitasse a portare un nome importante. Su una penisola del fiume è situato il parco di Mud Island: oasi di pace dove si trovano una monorotaia, un anfiteatro per concerti, un laghetto, un museo dedicato al fiume e soprattutto un lunghissimo canale balneabile che riproduce completamente in miniatura il corso del Mississippi, con tanto di biforcazioni, laghetti e cascate a rappresentare le sorgenti. Un fiume in mezzo ad un fiume, un'altra americanata.

Ho usato la parola americanata due volte, una in senso positivo l'altra negativo. Cercate di capire quale sia quale. 





martedì 17 luglio 2018


C'è un motivo per cui dedico un articolo alla via dei divertimenti di Memphis e non a quella di Nashville, e quel motivo è strettamente personale. L'imparzialità la lascio ai tribunali.

(scherzo, la Broadway di Nashville l'ho adorata. Ma tra poco capirete il favoritismo).

A causa della mia passione maniacale per la musica, non mi è mai piaciuto avere una e una sola canzone preferita. Aggiungerei il privilegio ad una per toglierlo ad altre che amo.
Però ecco, metti che un giorno mi rapiscano e mi obblighino a sceglierne una pena la vita, che faccio?
Forse la scelta ricadrebbe su una canzone westcoast del 1991: "Walking In Memphis" di Marc Cohn, un signore ricordato per questo brano e poco altro. La ascoltai la prima volta in un cd di musica "da viaggio" che mio padre ordinò a casa per posta, anni fa. E quel piano non smette mai di darmi i brividi. 
Beh, ora mi tocca realizzare che per Memphis ci sto camminando io, e sto vedendo di persona tutti i luoghi citati nella canzone. Non ho un "first class ticket" e non c'è una "pouring rain" ad attendermi ma il solito caldo torrido, per il resto siamo lì.

Beale Street è nominata nel ritornello. È il biglietto da visita della città, uno dei luoghi chiave dell'inizio carriera di Elvis Presley e purtroppo l'unico luogo di Downtown a non dare segni di cedimento (vedremo poi). Ci sono musica e persone a tutte le ore, dentro e fuori dai locali. Di sabato è così affollata che alle due estremità di ingresso vengono poste le transenne coi buttafuori, come ai concerti. Ciò però ha anche i suoi vantaggi: finora è l'unico luogo che abbia visto in America dove si può tranquillamente camminare per strada con gli alcolici in mano.


È ironico il fatto che uno dei più emblematici articoli che farò riguardo all'urbanizzazione negli USA (uno dei motivi per cui ho creato il blog) riguarda un luogo che non è affatto una città, né ci somiglia.

Anzi, direi che dopo essere stato a Tunica, nel Mississippi, devo ampiamente rivedere la mia concezione di "nel bel mezzo del nulla".
Si tratta di una zona nelle pianure fuori Memphis, nel Tennessee (qui le città di confine sono la norma, tanto di guadagnato per me che posso dire di aver visto uno stato in più), ed originariamente era una delle aree più povere degli USA, campava infatti sugli schiavi e sulle piantagioni di cotone del fiume Mississippi. Qualche decennio fa, l'idea di trasformarla in un'oasi del gioco d'azzardo: furono costruiti, sparsi nella piana, sfavillanti hotel autosufficienti con enormi casinò, negozi, ristoranti e piscine, che ora costituiscono motivo di attrazione non solo per chi gioca. Il tempo ha portato per esempio anche teatri e locali per musica dal vivo, e anche negli stessi casinò ci sono concerti tutte le sere. Dopotutto, siamo nella terra del blues.

Il posto è americanissimo, nel bene e nel male. Nel bene perché sfruttare appieno ciò che si ha è una cosa che qua sanno fare.
Nel male perché come molte aree non urbane statunitensi, Tunica è basata sulla totale dipendenza da mezzi privati. Senza un auto ci si può sognare di viaggiare tra un casinò e l'altro, e anche il ritorno a Memphis (non essendoci Uber) può essere costoso.
In generale però è un buon posto per fare una sosta senza pensieri quando si viaggia molto per l'America.

PS: nei bar dei casinò, tutte le sedie al bancone hanno a loro volta gli schermi per giocare d'azzardo. Più inquietante che affascinante.

lunedì 16 luglio 2018


Questa ve la devo raccontare, nuovamente a mò di diario di viaggio (dove mò posso farlo passare per l'abbreviazione di "modalità").

Ho bisogno però di due premesse:
1- andando contro alla quasi totalità dei backpackers, a me piace prenotare spesso in anticipo, almeno diminuisce il rischio di sold-out e prezzi proibitivi.
2- quando vado in un paese straniero, voglio vedere almeno una cittadina non battuta dal turismo, così da scoprire la vera anima di quel paese.

Così, in un impeto di masochismo, decido di andare da Nashville a Chattanooga in giornata con l'autobus (la distanza è pressappoco da Torino a Brescia, con un fuso orario di mezzo).
Appena fuori Chattanooga c'è un parco chiamato Rock City, con cascate e viste mozzafiato, ed è quello il mio motivo di visita. Se lo cercate su internet occhio, le cartine lo segnano già in Georgia e non in Tennessee.
E non che Rock City non sia bello, ma in realtà si tratta di una palese scusa per visitare un po' di America profonda, e una località non famosa (anche se probabilmente i meno giovani conosceranno Chattanooga per una celebre canzone dal titolo imbarazzante).

La mia gitarella fuori porta si svolge così:
- eccezionalmente prenoto l'autobus all'ultimo, poiché ero indeciso se andare. Il primo bus, che mi farebbe essere a Chattanooga di prima mattina, è sold out. Ovvio.
- il bus che prendo già arriva a destinazione un'ora di ritardo causa coda fuori città.
- la fermata del bus è veramente nel mezzo del nulla, classica area di periferia con parcheggi e fast food.
- internet mi tira pacco. Non posso usare Uber.
- mi chiudo a mangiare un panino bacon e cheddar in un diner/tavola calda coi separè tipicamente americano, di quelli che quando compaiono in un film scoppia sicuro una rissa. Camerieri con marcatissimo accento del sud e due avventrici afroamericane corpulente che si chiamano "honey" a vicenda. 
- chiedo se hanno il WiFi, negativo. Ma posso trovarlo da Burger King attraversando la strada (praticamente una statale). Vado, è una di quelle che non si connette a pregarle in sanscrito.
- ritorno al diner e chiedo di chiamarmi un taxi. Una volta, mezz'ora e non arriva. Me lo richiamano, altra mezz'ora e non arriva.
- Rock City è palesemente balzata. Ringrazio i ragazzi del diner e cerco di vedere almeno il centro storico sul fiume. Me la faccio a piedi, un'ora di camminata nella periferia, e cosa c'è di più deep America di così?
- Mentre sto percorrendo una via in mezzo a prati e capannoni, arriva un acquazzone con una velocità bestiale. Cerco riparo sotto la tettoia di un negozio di arredamenti. Penso: dunque, il mio hotel è a 250 km da qui, la persona che conosco più vicina a 3000, sono in mezzo al nulla a piedi e le commesse qua dentro si sono trovate un tipo random straniero di carnagione scura con la barba ed una storia diversamente credibile. Per il resto tutto bene.

I contrattempi finiscono con l'estinzione della pioggia, se si esclude una sudata cosmica per arrivare in centro prima possibile.
In periferia scorrono le villette con giardino squisitamente americane, i parcheggi e i liquor store. Non fossi stato un po' sovrappensiero per gli eventi sopra narrati avrei sicuramente ascoltato "Lonely Grill" dei Lonestar, roba semplice.
I sobborghi lasciano spazio alle vie più centrali. I bar carini aumentano sempre di più.

Chattanooga ha subito diverse trasformazioni negli ultimi 50 anni, passando dall'essere una delle città più sporche d'America ad una delle più verdi. E si vede. La Downtown possiede musei, un acquario, parchi e un ponte pedonale sul fiume Tennessee.
Ma se devo scegliere un luogo solo non ho dubbi: Bluff View Art District, che non è affatto un bluff al contrario dei taxi.
Piccolo quartiere di artisti sul fiume con un vago retrogusto britannico. Ospita un museo, una galleria d'arte, un giardino con sculture e molte caffetterie con parchetti e dehor, oltre alla vista sul fiume. Si trova anche un ufficio turistico che organizza gite a Rock City e non è molto carino prendermi in giro. Tempo di godermelo un po' e devo scappare, comunque soddisfatto.

Due consigli:
- a meno che non si tratti di problemi grossi ovviamente, in viaggio tirate sempre fuori i fiori dal letame. È stata una bella esperienza, da film, che già un'ora dopo raccontavo ridendo. E la deep America l'ho vista eccome.
- niente taxi a Chattanooga




domenica 15 luglio 2018


Che sia perché alla lunga è un po' tutta uguale, che sia perché non appartiene alle nostre tradizioni, che sia perché sentir cantare di come il Kentucky e l'Alabama siano i migliori posti al mondo è abbastanza irritante, sta di fatto che la musica country non ha mai realmente attecchito fuori dal Nord America come altri generi musicali ivi nati.

Ma il mito del santuario che Nashville costituisce per la country (e la musica in generale) è quasi commovente. Ci sono band ad ogni ora, ovunque. E per capire appieno il ruolo popolare e giocoso che ha qui la country vi consiglio "A Boy Named Sue" del grande Johnny Cash, a cui è stato dedicato un intero museo.

Comunque se vi trovate in questa zona del sud, sicuramente non avete bisogno di me per sapere che ci sono enormi musei dedicati alla musica e una via (Broadway) con insegne al neon dove ogni tanto ci si fa una birra tra un live e l'altro.
Sentite piuttosto qui: la riqualificazione di un quartiere piuttosto anonimo (nel migliore dei casi!) vicino al centro chiamato SoBro, South of Broadway, ha avuto il suo centro nevralgico nella costruzione di un mega polo polifunzionale con hotel e ristoranti piuttosto interessante architettonicamente.

L'hanno chiamato Music City Center. Niente da fare, l'unico momento in cui in Tennessee non ascoltano musica è nelle pause tra una canzone e l'altra. 


sabato 14 luglio 2018

"Every Little Kiss" di Bruce Hornsby. Non riesco a capacitarmi di quanto sia bella questa canzone. Musica on the road, ma potrebbe essere la colonna sonora di tutto.
Mi fa compagnia sull'autobus per Nashville, e per inerzia anche mentre vado a piedi in città.

Giusto, la città.
La mia camera d'albergo sarà pronta nel pomeriggio, perciò mi faccio un giro nonostante un caldo così non l'abbia mai avuto in vita mia.
Dove decido di andare dunque?
Nel mega museo dedicato alla musica country, che sarà sicuramente bombardato di aria condizionata e sta peraltro ospitando due mostre dedicate ad artisti che adoro? Macché, è vicino a casa, ci vado quando voglio (saggio ragionamento, se non fosse che chiude alle 17. Roba da andare lì, fare un'enorme pernacchia ed annegarli nella saliva).
Giro per le piazze piene d'asfalto, ovvio.

Passeggio con destinazione Germantown, quartiere a nord del centro con graziosissime villette e giardini. Se ci sono negozi e ristoranti sono ugualmente ospitati in villette con giardino. Mai limitarsi al centro, in una città nuova.
Tre cose da segnalare: la piazza principale di Nashville ed il centro in generale (escluso il quartiere dei divertimenti) hanno confermato ciò che pensavo da mò: carini, ma non li cambierei mai coi nostri centri storici. Tra il centro e Germantown si trova il Bicentennial Capitol Mall State Park, una gigantesca esplanade con vialetti ed alberi costruita per il bicentenario del Tennessee nel 1996. Vi si trovano fontane oggi assiediate da bambini che si rinfrescano ed un monumento ai caduti della Seconda Guerra Mondiale, dove è stata scattata questa fotografia. A Germantown ho mangiato in un curioso ristorante con un'idea che mi sarei aspettato più da un paese come il nostro, dove il mangiare è una sacralità sociale: ti piazzano in un tavolo assieme ad altri clienti, tutti si servono le pietanze dallo stesso piatto, passandosele. Sei obbligato a socializzare, bellissimo. Cucina rigorosamente Southern fatta in casa.

Il lato tradizionale dell'America, quello meno da Sex & The City, mi accoglie così.


venerdì 13 luglio 2018

A mezzanotte spaccata mi aspetta un bus che mi porterà nell'America profonda. Quella interna, centrale. Dove adorano Dio, la musica country, i barbecue sul prato ed altri cliché.

Anche perché la prima cosa che vedo arrivato a Nashville è forse l'ultima che mi aspettavo (facciamo penultima, dopo una cover band degli 883): un sito storico.
Una ricostruzione, scoprirò poi. 
Fort Nashborough è nientepopodimeno che il primo accampamento che costruirono i britannici una volta giunti qui nel 1779, che diventerà successivamente la città di Nashville.
Come nel caso di molti altri settlements, fu scelta una location lungo il riverside, e gli americani già mi hanno contagiato. Il fiume Cumberland, che ancora oggi lambisce la città, fu ideale per il loro avamposto di capanne, costruite coi tronchi per ripararsi dai nativi e dagli animali selvatici.

Su internet si possono trovare facilmente le vicende dell'accampamento decennio per decennio. Lo consiglio agli appassionati di storia, anche quella americana. No, non mi piace la banana (a proposito di cliché). 


Il centro di Chicago è stato praticamente tutto devastato da un terribile incendio nel 1871, dopo il quale peraltro fu inventato il grattacielo per ovviare al problema della mancanza di spazio.

Dico "praticamente tutto" perché un solo edificio effettivamente sopravvisse: la Water Tower, una curiosa struttura alta 47 metri e decisamente simile ad un faro.
I mattoni in pietra calcarea gialla le permisero di resistere alle fiamme, e ora campeggia in Magnificent Mile in mezzo a moderni grattacieli e negozi di alta moda, come se fosse un anziano veterano di guerra che racconta le sue esperienze ai giovani d'oggi che non hanno valori.

Le persone durante il loro struscio pomeridiano ci passano di fianco tranquillamente, senza conoscere la sua storia. Oppure sì.



giovedì 12 luglio 2018

Fate ciao con la manina al primo luogo di culto americano che tratto (e potrebbe rimanere l'unico, visto come girano le cose quaggiù).

Si tratta della Rockefeller Memorial Chapel, l'edificio più imponente della prestigiosissima università di Chicago, che nel corso della sua esistenza ha sfornato premi Nobel come pizze.
La chiesa fa finta di essere gotica (è del '900), ha un bell'interno sontuoso con vetrate e può ospitare 1700 persone.

In Italia il falso storico è visto al limite della truffa o dell'inganno. Secondo me, e ci ho pensato anche guardando la Rockefeller Memorial Chapel, conta molto anche la bellezza scenica.
Davvero qualcuno si scandalizza perché la facciata del Duomo di Firenze è stata completata a fine '800? Qualcuno la voleva vedere spoglia e incompiuta come nel medioevo?
Tra qualche secolo leggeranno sui libri di arte che questa cappella è stata completata nel 1928, appena qualche secolo dopo lo splendore dell'arte gotica e nessuno se ne farà grossi crucci.

Mi rendo conto che sto scrivendo cose molto impopolari, basta così.


Anche i turisti più inesperti, quelli che non troverebbero un repubblicano in Oklahoma, in giro per Chicago si possono facilmente imbattere nel locale di musica dal vivo su misura per loro, e quasi sempre di altissima qualità.

Chicago è infatti diventata un'importantissima mecca del jazz e del blues, da quando le grandi migrazioni degli afroamericani provenienti dagli stati del sud negli anni 20 e 30 hanno permesso la creazione di esperimenti musicali completamente nuovi.

Il locale che vedete in foto è il Green Mill. Decenni fa era lo speakeasy preferito da Al Capone, oggi è un bellissimo posto a luci soffuse in cui si esibiscono jazzisti dal vivo ogni sera. Si trova un po' in periferia, in una zona a cui non dareste un centesimo. E del resto, si dovevano nascondere, no?









mercoledì 11 luglio 2018

Ho visitato due quartieri, Wicker Park e Logan Square ("visitato" va interpretato. Ci ho più che altro bevuto delle birre) che negli ultimi anni si sono trasformati da periferie anonime a zone in rinascita, roccaforti hipster cittadine, pullulanti di negozi interessanti e locali serali per tutti i gusti.

Ma come avviene ad esempio per il quartiere Isola a Milano, è difficile immortalare una foto che rappresenti ciò che ho visto. Dovrei fotografare qualche locale ma sarebbe un peccato favorirne uno piuttosto che altri, inoltre dovrei scegliere uno tra i due quartieri trascurando l'altro, e mi dispiacerebbe.

Perciò vi faccio vedere una figata che hanno fatto in quelle zone. La 606 Trail è una vecchia linea ferroviaria riconvertita in passeggiata pedonale verde, superiore ai 4 km di lunghezza.
I Chicagoans qui vengono a correre, a camminare, o in bici. Essendo sopraelevata, attraversandola si ha un'ottima visione di insieme dei quartieri residenziali della città, e alcuni di essi sono proprio le periferie con villette come ce le immaginiamo.


martedì 10 luglio 2018

A qualcuno fa schifo il baseball!
Eh sì, la passione per i Cubs e i White Sox, le due squadre cittadine, è tale che una delle sculture outdoor più popolari è dedicata proprio a questo sport. Una mazza da baseball alta 31 metri e realizzata da Claes Oldenburg orna questa piazza del West Loop.
E cerchiamo tutti quanti, io compreso, di non fare doppi sensi.

Tra l'altro forse cado dal pero, ma ne approfitto per esporre la totale sorpresa che ho avuto nel vedere quanto siano seguiti anche qui i mondiali di calcio. Sono moltissimi i pub che li trasmettono e in Canada una ragazza quando mi ha visto camminare con le cuffie mi ha chiesto se stessi seguendo una partita. Ovviamente avevo la musica.


Magari non ci credete, ma mentre girate per Chicago potete crearvi una colonna sonora tutta Made in Italy per calarvi nel mood cittadino, senza sentirvi fuori luogo. Ad esempio ci stanno da dio "Change Of Heart" dei Change, "For Your Precious Love" dei Jestofunk e "Chock-A-Block Avenue" della Barrio Jazz Gang. O se vi piace qualcosa di più tranquillo, "Here Is Everything", di Chiara Civello.

C'è un posto però, che vi farà stoppare la musica qualsiasi essa sia. Appena vi trovate davanti l'interno del James Thompson Center (in precedenza chiamato State Of Illinois Center) progettato da Helmut Jahn, con la sua immensa cupola aperta verso il cielo, ciò che vorrete sentire saranno solo i passi e il vociferare degli impiegati. Non serve invece togliersi le cuffie per chiedere di salire cogli ascensori, non si può.
Anche a Chicago è stata creata una rete sotterranea da bazzicare nei mesi più freddi. Il Thompson Center ad esempio è collegato direttamente con la metropolitana e con il Richard Daley Center citato nella foto precedente.

Nella piazza esterna l'ennesima scultura, stavolta di Jean Dubuffet: Monumento con Bestie in Piedi. Si noti la provenienza europea di tutti gli artisti finora menzionati nel Loop.
Ok, Helmut Jahn vive negli USA da quando aveva 30 anni, ma poco cambia.



lunedì 9 luglio 2018

La genialata di collocare le sculture monumentali nelle piazze pedonali sotto i grattacieli (chiamate "plaza") ha contagiato tutto il Nord America, ma a Chicago hanno pensato in grande. E l'arredo urbano porta la firma di artisti sconosciuti del calibro di Pablo Picasso, Joan Mirò, Alexander Calder, Marc Chagall e altri. In questo modo le plaza vengono valorizzate nel migliore dei modi, poiché le opere d'arte dai colori sgargianti e accesi, o dalle forme insolite, bilanciano i colori spesso anonimi e il carattere architettonico ordinario dei grattacieli.

Nella stretta e lunga Brunswick Plaza è stata collocata questa scultura di Joan Mirò il cui contesto toglie il fiato. È la rappresentazione di Chicago in forma di donna, alta 12 metri ed è stata qui messa nel 1981, anche se erano ormai anni che si voleva portare nella città del blues qualche creazione di questo grande artista.

Ma non sono così crudele da farvi venire in quest'isolato solo per Mirò's Chicago. Ad esempio appena di fianco (edificio sulla destra, nella foto), c'è il Chicago Temple, che si vanta di essere la "first united methodist church". Appena alle vostre spalle invece, il grattacielo Richard Daily Center, famoso per essere stato realizzato con un tipo di acciaio che non richiede manutenzione, il Cor-Ten, e per una scultura di Picasso collocata nella plaza sottostante. Ma soprattutto è stato l'ambientazione dell'ultima epica scena dei Blues Brothers, in cui centinaia di forze dell'ordine danno la caccia ai due protagonisti.


Quanto può essere deserta una città di quasi 5 milioni di abitanti?
Venite nel Loop di Chicago di domenica e lo scoprite, dal momento che nel centro città della terza metropoli d'America ho incontrato solo qualche turista sorpreso come me e una manciata di senzatetto.

Sì, perché dovete sapere che molte città americane risentono di quello che si può definire un madornale errore urbanistico: hanno destinato i loro centri storici esclusivamente alle attività lavorative. Son tutti uffici, e i negozi presenti vivono praticamente con gli uffici facendo sì che la zona sia alquanto vuota di sera e nei festivi. Non vi gasate, che anche in Italia abbiamo dei quartieri così, ad esempio il Centro Direzionale di Napoli.

Comunque il Loop me lo voglio vedere quando viene vissuto. La visita slitta perciò a lunedì.
Opto quindi per un giro che comprende il lungofiume coi grattacieli (una curiosità: il corso del fiume Chicago fu totalmente invertito nel 1900 per risolvere il problema dell'inquinamento nel lago Michigan) e arrivo a Magnificent Mile, la via dello shopping di lusso. Ecco dove sono tutti i Chicagoans!
E per una fortunata coincidenza scelgo di andare a Streeterville, il quartiere dei moli affacciati sul lago, proprio al tramonto. Ci sono persone su una spiaggia che fanno il bagno, un sacco di yacht ed imbarcazioni e gente che passeggia. Guardo il sole riflesso sull'acqua nascondersi dietro i grattacieli, ascolto "Harden My Heart" dei Quarterflash e desidero che quel momento non finisca mai.


Chicago è la più grande tra le città veramente americane, e capitale del Midwest. Terra natia dei grattacieli, dei fast food, della musica house e di quella blues. Se mi ci trovo male posso anche cambiare pianeta.

Premesso che il Loop sogno di vederlo da quando ho 10 anni, quindi c'era il rischio che si manifestasse l'effetto Sindrome di Parigi in tutta la sua grandezza. Tutt'altro. Non mi ha deluso per niente, e ho avuto la fortuna di vedere i grattacieli sul lungofiume nel loro momento migliore: al tramonto, quando il sole si riflette sui vetri delle torri ed il fiume fa il resto. Il tutto condito da "Imagination" di Belouis Some che risuonava nelle mie orecchie.

Per iniziare, vado sul classico. Il primo grattacielo di Chicago (e del mondo), la Home Insurance Building, non è più tra noi dal 1931, e già da qui si capisce la differenza con l'Europa. Come potremmo anche solo concepire la demolizione di un edificio così storico?
Vi sono però diversi altri palazzi di buona altezza che hanno la loro storia da raccontare. A sinistra e in primo piano il Wrigley Building, costruito nel 1924 e fino a qualche anno fa sede di una ditta che produceva gomma da masticare. A destra in fondo la Tribune Tower, dell'anno dopo, sede del Chicago Tribune.

Glossario: il Midwest è la mega regione che comprende tutti gli stati USA medio occidentali, il Loop è il centro di Chicago dove sono ubicati i maggiori grattacieli e uffici, la Sindrome di Parigi è quella sensazione che provi quando vedi dal vivo un luogo che in testa ti immaginavi migliore e il Chicago Tribune è uno dei maggiori quotidiani della città.


domenica 8 luglio 2018

Se capitate a Toronto non fatemi pentire di avervi raccomandato questo posto. È un bellissimo parco circondato da residenze monumentali tutte diverse tra loro, c'è anche un laghetto.

Wychwood Park, nato come comunità di artisti a fine 800, è oggi un quartiere residenziale, ma attenzione: in quanto tale, visitandolo bisogna comportarsi come se si fosse a casa di qualcuno, in totale rispetto. Io medesimo ho fatto il piccolo errore di spingermi in una strada sterrata, totale proprietà privata.
Gli dedicherete pochi minuti probabilmente, ma sarà bello.

Lì vicino è molto carino da visitare anche il Tollkeepers's Cottage, un museo che riproduce il cottage di una famiglia di basso ceto di fine 800 con alcuni elementi originali sia nell'architettura che nell'arredamento. Organizzano anche attività all'aperto.


Per la rubrica "recuperi di zone industriali pienamente riusciti" sentite qua: Distillery District, situato in centro ma non in centrissimo (la zona circostante ha già carattere decisamente residenziale). Una manciata di strade pedonalizzate e restituite al pueblo, dove si possono trovare bar, ristoranti, locali, un museo e un'accademia d'arte. Ci sono anche diverse sculture di cui una, enorme, raffigura un distillatore.

Sono sicuro che i quartieri come questo un giorno verranno studiati nelle scuole, ora di storia dell'arte, come rappresentazione della nostra epoca, interessata dalla crisi del settore secondario. Chissà che nome le daranno.


Agli occhi di chiunque di voi, la Downtown di Toronto può sembrare una scopiazzatura di quella di New York, con un tocco di Miami Beach quando ci si avvicina al lago.
Io ho una passione per i grattacieli quasi patologica, e tanto mi basta per girarla in lungo e in largo senza meta; stavolta come colonna sonora scelgo "Here Are The Pieces Of My Broken Heart" di Gladys Knight & The Pimps.

E di questo tour in realtà beneficiate anche voi: a volte si scoprono cose davvero interessanti, come la facciata originaria della borsa valori canadese, incastonata in un grattacielo di recente costruzione. Risale agli anni 30, e affinché ciò non venga dimenticato, contiene elementi riconducibili all'art decò ed inizialmente era vietata alle donne. Manca il proibizionismo.

Le Downtown nordamericane sono tutte uguali, ma non troppo, e mi fa piacere provare a dimostrarlo.


sabato 7 luglio 2018

La Riviera Romagnola ed il suo perenne successo tra turisti italiani e stranieri dovrebbero servire di lezione a chi vanta continuamente le fortune idriche della sua terra ("c'abbiamo il mare"), e dimostrare che il mare, o qualsiasi altra fortuna naturale, conta più che altro come lo usi.

Corollario: se a Toronto hanno un lago non balneabile, perlomeno non in prossimità della città, ma creano una sorta di solarium con sabbia, seggiole ed ombrelloni, lo sfruttamento di ciò che si ha è pienamente riuscito. Sugar Beach, l'han chiamato.

Anche se c'è ancora molto da fare, il lungolago è discretamente cambiato da quando era un nugolo di parcheggi e rimesse ferroviarie. Ora sono sorti parchi, passeggiate, porticcioli turistici. A dimostrazione del fatto che si può rendere piacevole il più obsoleto specchio d'acqua (si fa per dire, non parlo del lago Ontario bella stella, che dev'essere pure una figata in certe zone).

Al momento della mia visita c'era un sole che picchiava da svenire. Mi sono messo a passeggiare ascoltando "Help Me" di Joni Mitchell che ha reso un po' meno pesante il tutto, ma rimane il fatto che il giro (e quindi la foto che vedete) mi è valso una piccola insolazione. Apprezzatelo.


venerdì 6 luglio 2018


Le Downtown sono i quartieri degli affari nordamericani, dove i numerosi grattacieli vicini tra loro danno alle vie sottostanti un aspetto quasi giunglesco.

In ogni downtown cerco sempre almeno un angolo appartato dove sciallarmi, in mezzo alle torri. Di solito una piazza pedonale con scultura. Se ci vai probabilmente ci sei solo tu assieme ad un sacco di impiegati in giacca e cravatta. Se c'è il sole qualcuno in panciolle. Ma mai, mai turisti. 
A New York ad esempio avevo trovato la piazza della scultura Group of Four Trees di Jean Dubuffet (un artista outsider che adoro, e che rivedremo a Chicago) sotto il grattacielo One Chase Manhattan Plaza. È uno spazio piuttosto angusto dietro Wall Street in cui ti senti davvero schiacciato dai grattacieli.

Nella Downtown di Toronto hanno fatto di meglio mi sa, a livello urbanistico.
Ta-dan! Ecco i Cloud Gardens, piccolissimo parco (0,2 ettari) che in mezzo alla giungla urbana ricrea una giungla vera. In una serra infatti è stato composto un microcosmo ambientale con piante e clima tropicale. Fuori un parco un fiumiciattolo con cascata, che una passerella permette di toccare con mano.
È carina anche la piazza di fianco, coi tavolini e circondata da tre grattacieli. Certe volte si capisce perché li definiscono le cattedrali della nostra epoca.

PS: Veniteci di giorno, che di notte essendo tutti uffici ehm...



Non volevo far sì che questo reportage assumesse le sembianze di un diario di viaggio, ma a volte il punto di vista personale è inevitabile.

Arrivo all'hotel di Toronto nel tardo pomeriggio tutt'altro che arzillo, sfinito dal viaggio in treno, durato anche più del previsto.
Mi infilo in una risto-birreria Tex-Mex vicino all'hotel che mi è stata raccomandata (mossa peraltro astuta visto che sarò in Texas tra due settimane...). Mi portano nachos farciti di qualsiasi cosa e alti come una piattaforma petrolifera. Più di metà non riesco, ed epica la ragazza che mi chiede "so are you stopping? Too spicy?" Illusa.
Non ascolto fisico, rotule e cervello che mi suggeriscono di abbioccarmi in camera, perché quando sono in una nuova città, le gambe mi si muovono da sole.
Perciò, "Real Blues" di St. Germain in cuffia e mi metto in cammino.

Noto subito una via alberata sulla destra, più animata delle altre. Un sacco di bar con gente fuori, diversi ristoranti etnici e i palazzi della via principale si rarefanno fino a diventare case residenziali dipinte o addirittura simil-prefabbricati, sembra di stare in una città sudamericana.
È il Kensington Market (lo scoprirò successivamente), zona molto animata fino all'ora di cena soprattutto nei weekend quando è chiusa al traffico, che comprende una moltitudine di attività. I murales sono ovunque, e si notano anche scene tipiche di quartieri popolari, tra cui hipsters che fumano marijuana e feste private nei cortili retrostanti le case.
Sono tornato per fotografarlo il mattino dopo, quando è abbastanza tranquillo.

La premessa di prima per dirvi cosa?
Credo che uno dei momenti che preferisco in un viaggio sia quello in cui arrivi in una città nuova e ti fai un giro di perlustrazione di poche ore, prima di stenderti. Sai che non dovrai faticare molto e andrai comunque a dormire con un'overdose di novità.

PS: io poi dopo il Kensington Market sono andato fino in centro a piedi, mezz'ora di camminata. Ma non ce n'era bisogno. 




Ho fatto un'assidua ricerca (lo dico tanto non potrete mai sapere QUANTO assidua) allo scorcio più bello del Vieux Montréal, la città vecchia.
E la mia scelta è ricaduta su Rue Saint-Dizier, brevissima via in leggera salita che collega il lungofiume con la strada principale del quartiere, Rue Saint-Paul.
Acciottolata, buia e dal carattere quasi medievale (quasi, eh), vale assolutamente la pena passarci e dimenticarsi di essere in Canada per un pugno di istanti.
Appena arrivate in Rue Saint-Paul, in uno spiazzo lì davanti vedrete una scultura bronzea rappresentante un gruppo di donne. Si chiama Les Chuchoteuses ("le pettegole") e passa decisamente inosservata pur essendo sulla via principale.

Bisogna dire che probabilmente la città vecchia di Montréal stupisce di più se si viaggia per la rotta inversa a quella che farò io.
Infatti, se si arriva direttamente qui con l'aereo magari potrà sembrare una variante più recente dei centri storici europei, e non si riuscirà pienamente ad apprezzarla.
Se invece si arriva dal sud, provenienti dagli USA, si rimarrà colpiti da questo bel quartiere a misura d'uomo in un continente, il Nord America, dove i concetti di centro storico e area pedonale sono spesso diversamente concreti.




giovedì 5 luglio 2018

Come si chiama quella forma retorica, in poesia, dove si ricorre alla negazione per esprimere un concetto? (cerca su Google) ah sì, la litote.
Si potrebbe dire che a Montréal, d'inverno, non faccia caldissimo.

Esiste però questa genialata chiamata Città Sotterranea: una rete di 32 km di gallerie con negozi e qualsiasi altro tipo di attività che collega moltissimi edifici della città, oltre alla metropolitana. In questo modo si sono create vere e proprie vie sotterranee da percorrere esattamente come un normale centro storico, che in certi casi assumono il ruolo di autentici shopping centers, soprattutto in corrispondenza del quartiere dei grattacieli. Qui, senza nemmeno accorgersene si salta da una stazione della metro ad un palazzo che ospita uffici, da una galleria commerciale ad una pista di pattinaggio coperta.
Inverno 0 - Canadesi 1.

Mi scuso se la premessa sarà infinitamente più breve della spiegazione della foto vera e propria. Uno degli edifici che mi ha più colpito in assoluto tra quelli "collegati" con la Città Sotterranea è sicuramente il World Trade Center di Montréal, che include un passaggio pedonale altissimo con fontane, dehors e un accostamento di diversi stili talmente bello che la sua eventuale storia è irrilevante di fronte a quanto è venuto bene.

Dato che se vi spingete fin qui, sicuramente l'architettura non vi fa del tutto schifo, date un'occhiata anche al grattacielo affacciato sulla stessa piazza (Square Victoria): la Tour de la Bourse, progettata da due architetti italiani, Luigi Moretti e Pier Luigi Nervi. Quest'ultimo è anche co-progettista del più famoso (da noi) Grattacielo Pirelli di Milano.





mercoledì 4 luglio 2018

Rue Prince Arthur ha un passato come via di ritrovo degli hippie cittadini, correvano gli anni 60.
Oggi è una piacevolissima arteria pedonale con panchine, alberi, una fontana e diversi ristoranti con dehor, gremiti al crepuscolo. A Montréal esistono diverse vie secondarie che si popolano all'ora di cena (qualche nome, se passate di lì: Rue Crescent, Avenue Duluth, Avenue Laurier) ma nessuna è altrettanto graziosa.

E pure il quartiere in cui è situata, buttamolo via. Si chiama Plateau ed è una via di mezzo fra Trastevere e Parioli: da un lato ristoranti di tutte le etnie (beh, con un nome così...) e locali affollati la sera da nugoli di universitari ed artisti. Dall'altro parchi, piazze e residenze eleganti, e per vedere tutti e tre è sufficiente andare in Square St. Louis, una piazza circondata da belle case con parco e fontana alla fine di Rue Prince Arthur, di cui costituisce una naturale prosecuzione.

Nel remoto caso in cui queste parole non vi abbiano convinto, sentite qua: la maggior parte dei ristoranti di Rue Prince Arthur e altre vie del Plateau applica la formula AVV (Apportez Votre Vin). Tu mangi lì ma porti il vinello da casa.
I vantaggi di non essere in un paese in cui la carta dei vini è sacra.



In una sola foto il passato, il presente e il futuro di Montréal.
I grattacieli in costruzione sono sintomo di una città che cambia e cresce (e dove ci sono soldi e spazio, vabbè), e l'edificio work in progress che vedete, tra qualche mese sarà testimone di un'epoca architettonica, come lo è stato il grattacielo alla sua sinistra (all'apparenza non molto precedente) e, ancora prima, l'edificio in primo piano.

Qui ci troviamo in pieno Centre-Ville, la città nuova. La foto è stata scattata da un portico del 1250 René-Lévesque, secondo grattacielo più alto della città. Davanti a me c'è la piazza pedonale del centro sportivo Bell, affollata di decine di tasselli con su scritti i nomi dei grandi dell'hockey, sport che in Canada è oggetto di venerazione.
Alla mia immediata sinistra invece Square Dorchester, cuore della Centre-Ville su cui si affacciano due bellissime chiese, una cattolica ed una anglicana. Ve l'ho detto che è bilingue. 




Cos'hanno in comune queste due foto?
Il sole, sicuramente. Il cielo terso, senz'altro.
Ma soprattutto sono state scattate nella stessa piazza.

Proprio così, Place D'Armes il nome.
Ma serve una premessa: Montréal è tra le poche città nordamericane ad avere il centro suddiviso in una parte moderna e una più antica.
La vecchia Montréal risale fondamentalmente all'epoca coloniale, e oggi buona parte delle attività sono caffè, ristoranti e boutique. In alcuni tratti forse è troppo turistica e troppo francese, ma merita assolutamente una visita.

In Place D'Armes si affaccia la basilica di Notre Dame (se non siete andati ad esclusione, foto a sinistra), ottocentesca e ricoperta di vetrate. La statua lì davanti è dedicata a Paul De Chomodey, fondatore di Montréal. Bravo Paul.
Nella foto a destra si vede invece l'imbocco di Rue Saint Jacques, nota come la Wall Street di Montréal. Su di essa si affacciano infatti moltissimi edifici finanziari, alcuni davvero splendidi architettonicamente, oltre che simili nello stile ad alcuni palazzi della già citata via newyorchese.
Nella stessa piazza si trova anche il primo grattacielo della città: il New York Life Insurance Building, precedente di soli 2 anni al primo grattacielo di sempre, a Chicago. E come non citare anche il seminario Saint-Sulpice di fianco alla cattedrale, costruito nel 1684 in pieno dominio francese e tra i più antichi edifici rimasti in città.

Insomma, Place D'Armes ci ricorda che la Vecchia Montréal non è un semplice quartiere simil-europeo capitato in Nord America, ma la "non dimenticanza" delle proprie origini in una città al passo coi tempi.



martedì 3 luglio 2018

Tempo fa qualcuno, non ricordo chi, disse che con la cultura non si può mangiare.

Beh, state a sentire: c'è questo mega quartiere polifunzionale e culturale a Montréal, chiamato Place Des Arts, che comprende un enorme museo d'arte contemporanea, diversi teatri e spazi pubblici sempre molto frequentati, con fontane e sculture. Ricorda un po' il Lincoln Center di New York.
È stato costruito nel 1963 e mi viene difficile credere che ciò che c'era prima fosse più bello.
La zona è considerata per tradizione il centro della comunità francese di Montréal, i cosiddetti Quebecois (la città è infatti bilingue a tutti gli effetti, con doppia anima francese e inglese) ma ormai entrambe le culture, assieme a tutte le altre etnie presenti, sono ben distribuite ovunque, e la frenesia in questa piazza ne è la prova.

Nella settimana in cui mi trovo in città, Place Des Arts è particolarmente animata perché c'è il Jazz Festival cittadino: concerti di artisti famosi e meno famosi, la maggior parte gratuiti. Gente che affolla le piazze sotto i palchi con una lattina di birra in mano, gente seduta su sdraio predisposte che prende il sole cocente (evento più unico che raro da ste parti), gente che mangia negli stand con cucine provenienti da ogni parte del mondo. Poco più in là, i bambini si bagnano e si schizzano nelle fontane, facendo sì che i sax e i pianoforti dei jazzisti si mischino coi suoni degli scrosci d'acqua.
Tutto è nato 50 anni fa, dal progetto di una piazza con musei e teatri.

Con la cultura non si può mangiare, pensa se si potesse.