lunedì 27 agosto 2018

Un giro per la Downtown di Dallas è un'occasione d'oro per snocciolare nuovamente la playlist di musica urbana, come non succedeva dai tempi di Chicago.
"Ain't Nothing Goin' On But The Rent" di Gwen Guthrie, "Chameleon" di Herbie Hancock, "Suspicions" di Eddie Rabbitt. O magari "All 4 Love" dei Color Me Badd se vogliamo stare allegri.

Ma non siamo a Chicago, e me ne accorgo ben presto.
Dimenticatevi le sculture di Mirò, Picasso, Chagall. Ma quando mai!
Qui il primo arredo urbano che trovo è niente di meno che la riproduzione di un occhio gigante, blu come un ghiacciolo all'anice e diretto con la sua estrema vistosità, quasi a volermi dire "benvenuto al sud, stronzo!".

Informiamoci meglio, allora. Ideato dall'artista Tony Tasset, fu fabbricato in vetroresina nel 2007 per un'esposizione temporanea tenutasi a Chicago (AH!) da una società non esattamente nota per la sobrietà delle sue opere. Per esempio la mega ciambella di Randy's Donuts in California, riprodotta in film e videogiochi, è roba loro.
L'occhio è approdato poi in Texas dal 2013, dopo essere stato anche a St. Louis. Essendo proprietà privata non si può andare fin sotto, ma non è necessario.

PS: visti i tempi che corrono, è meglio se chiedo scusa per aver usato la parola "stronzo" prima. Ammetterete però che "benvenuto al sud, lestofante!", oppure "benvenuto al sud, manigoldo!" non sono esattamente realistiche per lo scritto di un ragazzo che vive nel XXI secolo.


mercoledì 22 agosto 2018

Per essere un semplice gruppo pop europeo, i Roxette ne hanno fatte assai di canzoni easy da viaggio. Prendi "Church Of Your Heart", perfetta quando il sole tramonta e l'asfalto scorre.

Allora, la tabella di marcia è la seguente: ho rinunciato ad andare a Houston a causa della mancanza di tempo e del tasso di imperdibilità inferiore rispetto alle altre metropoli texane. Tornerò.
È un po' un peccato, perché la città della NASA è merce aurea quando si tratta di luoghi americani che abbiamo sempre sentito nominare ma di cui sappiamo nel dettaglio poco o niente. Ed avevo fondato il blog anche per questo.
La cosa positiva in tal senso, è che mi risparmierò le originalissime battute degli amici che "sei a Houston perché hai un problema?", chiavica che si sarebbe andata ad aggiungere a "sei a Chicago? Poi tira l'acqua eh!".

Mi dirigo dunque verso Dallas ("salutami Lucio Dallas!"), ultima meta del mio viaggio.
La città è una specie di Milano del Texas: lussuosa, appariscente e al passo coi tempi, dove persino il triste assassinio del presidente Kennedy ha potuto trovare la sua spettacolarizzazione grazie ad un bellissimo museo.

Quale luogo migliore di questo, quindi, per una mega esposizione che celebrasse 100 anni di indipendenza del Texas dal Messico?
Correva il 1936 e nel grande spazio verde Fair Park (già esistente fin da fine '800) fu costruita una serie di edifici art decò piuttosto spartani in verità, ma compensati da variopinti disegni sotto i porticati e da gigantesche statue, che spezzano la monotonia.
Ognuno ha un tema diverso con strane classificazioni. Ci sono ad esempio i padiglioni francese e spagnolo, o quello texano, quello americano e quello degli stati confederati. I palazzi sono disposti attorno all'Esplanade Fountain: un'enorme vasca rettangolare con getti d'acqua inclinati verso l'interno, che dà quasi l'idea di una mega piscina olimpionica.
È uno dei più grandi siti di fiera temporanea ancora in piedi in America (ma non doveva essere così inizialmente) e per questo è stato dichiarato Historic Landmark.

Il Fair Park è enorme, e anche quando non ospita la Fiera dello Stato del Texas in autunno, può contare su laghetti, stadi, spazi per concerti, una ruota panoramica, diversi musei e un giardino botanico, che con questo caldo è l'unico luogo che sono riuscito a visitare.
"Sunshine on my shoulder makes me happy" diceva John Denver. Ma lui era del West Virginia, non del Texas. 



sabato 18 agosto 2018

Sono sempre rimasto stupito dalla capacità di marketing ed illusione che hanno i film americani.

Riescono a convincerti che i pancakes siano qualcosa di imperdibile. Che andare a scuola sia più piacevole se hai un armadietto. Che ogni europeo debba maledire il fato per non essere nato in California. Possono far apprezzare "More Than A Feeling" dei Boston a qualcuno che normalmente rifiuta di ascoltare qualsiasi canzone troppo vecchia (dove magari "vecchia" corrisponde a "uscita 3 anni fa").
E dulcis in fundo, hanno reso un mito assoluto le villette a schiera con giardino. Le hanno elevate ad indiscutibile emblema del sogno americano quasi esistessero solo lì.

Però c'è un però.
Da quel che ho visto, queste residenze sono assolutamente all'altezza della loro fama.
E a meno che il vostro desiderio non sia incontrare qualche attore di Hollywood in veste da jogging, dirottare il vostro itinerario da Los Angeles a San Antonio potrebbe essere una buona idea.
Il King William District è appena fuori dal centro, lungo un canale. E percorrendo i suoi viali alberati ci si imbatte in residenze maestose, tutte diverse tra loro, senza mai stancarsi per decine di minuti. Di sera, specialmente nei weekend, la zona si trasforma in un fulcro della nightlife alternativa. Frotte di giovani riempiono i dehor nei giardini delle villette o sugli spazi ghiaiosi all'aperto, soprattutto lungo South Alamo Street.

Stavolta una villa in particolare da farvi vedere l'ho scelta, per un motivo: è tra le pochissime visitabili (per la precisione una delle due): Villa Finale, sede di un museo.
L'altra accessibile invece è la Edward Steves Homestead, se passate da quelle parti. Ma tanto andate tutti a Hollywood. 


mercoledì 8 agosto 2018


Mi dispiace essere ridondante sul fatto che San Antonio ricorda molto il Messico però diamine, guardate qui.

La periferia della città è disseminata di missioni spagnole settecentesche, patrimonio dell'UNESCO e tra le più importanti testimonianze cattoliche del Texas anche se onestamente non so se ci sia molta concorrenza per tale primato.

Quella di San José, situata in un quartiere periferico (anche qui, prendete un taxi) è spettacolare.
Difficile dire cosa colpisca di più: se l'enorme perimetro del cortile esterno ad archi colorato dal verde dei prati e degli alberi, i giochi di forme creati dalle arcate dietro la chiesa o la messa con i mariachi che si svolge tutte le domeniche a mezzogiorno. Consigliata, quest'ultima, indipendentemente dalla vostra fede.


sabato 4 agosto 2018

Il clima. Il cielo. Le temperature.

Argomenti che ti salvano perennemente in una conversazione in cui non sai cosa dire.
Infatti non ho mai capito perché, da quando ci sono i social, vada di moda andare in vacanza in posti caldi e comunicare la temperatura online come dei novelli Meteo 2. Cercando magari di suscitare invidia: "qui ci sono 38 gradi, buondì".
Cari ragazzi, non vi invidio molto se la temperatura è la cosa più interessante del posto in cui siete.

E dei 41 gradi che ci sono a San Antonio, senza un filo di vento, c'è poco da gioire.
Comunque il quartiere di Market Square, detto anche Mercado, è difficile definirlo un posto Tex-Mex dato che di Tex ha ben poco.
Si tratta del più grande mercato messicano fuori dal Messico. La culla della civiltà precolombiana si può assaporare infatti qui tra bancarelle, negozietti, ristoranti e palchi predisposti su cui si esibiscono i mariachi.
L'artigianato tipico fa avvertire la sua presenza. Per una testa Olmeca in miniatura, insomma, siete nel posto giusto.

E proprio qui a San Antonio, la città più a sud che visiterò, si avverte assai la lontananza del Canada francofono in cui camminavo 20 giorni addietro.

Come colonna sonora consiglio qualcosa per calarsi nell'atmosfera, ad esempio "Contestación A El Marinero" di Celia Cruz. O magari "La Pepita De Mango" di Yomo Toro.



mercoledì 1 agosto 2018

Dovremmo un attimo renderci conto di quanto è grande il Texas. Tutte le nazioni d'Europa sono più piccole, e per attraversarlo non basta un giorno.
Di riflesso, il viaggio da Fort Worth a San Antonio è piuttosto breve: 5 ore.

Che onestamente scorrono via veloci, tra una canzone 'on the road' e l'altra. "The Doctor" dei Doobie Brothers, "Run Run Run" dei Jo Jo Gunne, "Talking In Your Sleep" di Gordon Lightfoot. Per non parlare di "Guitar Man" dei Bread, che secondo me è la canzone da viaggio per antonomasia.

Qualche generalità su San Antonio prima di lanciarci alla scoperta: è una città completamente pervasa da un'atmosfera messicana e latina, e camminando per le sue strade spesso ci si dimentica di trovarsi ancora nella terra di Chuck Norris.
È anche uno dei pochi luoghi davvero turistici che vedrò nel mio viaggio. Nella Downtown si scorgono frotte di foresti affascinati, tra cui spiccano gli americani che portano l'immancabile maglietta con scritto sopra il nome dello stato USA da cui vengono (ma hanno così tanta paura di dimenticarlo?) e gli ispanici.

Il distretto storico La Villita è uno degli angoli più belli e vecchi, mi sento in colpa a dire antichi, del centro: un microcosmo ottocentesco di botteghe, gallerie d'arte e piazze pedonali caratteristiche, dall'aria squisitamente mesoamericana. Si trova a breve distanza dalla Riverwalk, a gran ragione la più frequentata attrazione turistica di San Antonio, quindi ci sono poche scuse anche per i meno propensi a camminare.

Affacciato sul Riverwalk in direzione La Villita c'è una bella invenzione: un teatro all'aperto chiamato Arneson River Theater.
Ed un altro posto assolutamente da vedere situato a breve distanza è lo Yanaguana Garden, un parco giochi con alcune interessanti e variopinte opere d'arte che a tratti ricordano Barcellona e Gaudí.

Assaggi di una città affascinante, crocevia di diverse culture. Tropicale nel clima, europea nello stile di vita, messicana nelle architetture, in generale latina nel melting pot e nella gastronomia. Ma la parte migliore è quando ti ricordi di essere ancora in America e che quindi la Pausini non la conosce nessuno.